Tre stecche terrificanti per ricordare il Live Aid
Un modo simpatico per ricordare il LIVE AID: le cappelle clamorose di super rockstar, emozionate e travolte loro stesse dalla grandezza di quell’evento
A pochi giorni dal 13 luglio, trentanovesimo anniversario del LIVE AID, ci divertiamo a ricordare - e celebrare - questo evento epocale attraverso una retrospettiva simpatica. Abbiamo selezionato una raccolta di “stecche”, un trittico di cappelle memorabili infilate da alcuni dei protagonisti del LIVE AID e spalmate tra i due palchi su cui si svolse l’evento: quello di Wembley a Londra e quello dello stadio JFK di Philadelphia.
Errori che, naturalmente, rispolveriamo dalle esibizioni di quel concerto indimenticabile non certo per burlarci di chi li ha commessi; anche perché si tratta di giganti della musica che - alla luce della loro storia e dell’incidenza che hanno avuto nella storia del rock - sarebbe demenziale pensare di screditare per uno strafalcione sul palco. Gli errori commessi sul palco del LIVE AID, sono semmai l’espressione di un aspetto romantico e che nobilita ancora di più il valore di quelle esibizioni: l’emozione.
L’emozione di esibirsi in un concerto che avrebbe fatto la storia; l’emozione di portare la propria musica su un palco che sfidava logistiche tecniche, organizzative e musicali per allora di complessità ciclopica (non dimentichiamo che, a livello mediatico, il LIVE AID era una delle cose più ambiziose mai realizzate: un concerto, via satellite, in contemporanea tra due continenti, con protagoniste le rockstar di tutto il pianeta). Ma soprattutto, l’emozione di sentirsi fautori e portavoce di un’iniziativa magnifica: raccogliere fondi per contrastare la carestia che devastava l’Etiopia e stava mietendo vittime soprattutto tra la popolazione infantile.
Ecco come questa emozione alta, nobile e bellissima ha giocato qualche scherzetto a Phil Collins, Simon Le Bon dei Duran Duran e Bob Dylan accompagnato dai chitarristi dei Rolling Stones, Keith Richards e Ron Wood.
Phil Collins
La stecca presa al pianoforte da Phil Collins nell’intro di “Against All Odds” è diventata una delle immagini più vivide nella memoria del LIVE AID. Anche perché Phil Collins stesso è considerato un’icona di quel concerto, essendo riuscito nell’impresa eroica di esibirsi, nella stessa giornata, sia sul palco di Londra che su quello di Philadelphia, grazie a un volo a bordo dell'aereo supersonico Concorde della British Airways. Phil Collins esegue “Against All Odds”, pezzo che diventerà uno dei suoi maggiori successi. Incisa nel 1983, la canzone vincerà un Grammy e sarà persino nominata all’Oscar, facendo parte della colonna sonora del film DUE VITE IN GIOCO. Nel set che Phil Collins dividerà con Sting, l’ex batterista dei Genesis decide di eseguire il brano da solo, accompagnandosi al pianoforte. Nella sua biografia edita da Mondadori “No, non solo ancora morto”, Phil Collins ricorda. “Il palco è bianco, splende il sole e si muore di caldo. Sono così sudato che mentre suono “Against All Odds” un dito scivola sui tasti del pianoforte. Una vera stecca, sento quasi rabbrividire gli ottantamila fan che riempiono Wembley. E non soltanto loro, quella nota sbagliata è arrivata in tutto il mondo.”
Succede al minuto 01:05: Phil Collins sbaglia, arrossisce, chiude gli occhi come in una piccola smorfia di dolore e poi sorride a quella folla oceanica, al mondo che lo guarda, quasi a chiedere scusa. E così, in quel mostrarsi umano e vulnerabile, ci arriva - ancora oggi dopo quasi 40 anni - ancora più seducente e inarrivabile nel suo status di artista. E quella performance, magica, uscirà intatta nel valore e nelle emozioni che sarà capace di trasmette. (Questa non fu comunque l'unica cappella fatta da Phil Collins sul palco del LIVE AID. Leggi la storia...)
Duran Duran
Nel 1985 i Duran Duran svettano in cima al mondo. Sono tra le band più popolari uscite dalla new wave e il volto più rappresentativo del new romantic: nei primi due dischi esplorano un synth pop raffinatissimo e malinconico, contaminato soprattutto con il funk. Poi, dal terzo album SEVEN AND THE RAGGED TIGER (1983), la band incrocia la sua strada con Nile Rodgers chitarrista degli Chic che aveva appena prodotto LET’S DANCE (1984), album di enorme successo commerciale di David Bowie. Dalla collaborazione tra Rodgers e i Duran Duran esce “Wild Boys” brano che diventa non solo il tormentone della band ma un vero e proprio inno rock degli anni ’80. Nel 1985, all’apice della popolarità e dopo la pubblicazione di un album live clamoroso ARENA (sempre prodotto da Nile Rodgers e che rivela l’anima più rock del gruppo), i Duran Duran ottengono un’altra importante gratificazione: sono coinvolti nella colonna sonora di 007- Bersaglio Mobile, per cui scrivono il pezzo “A View To a Kill”. Sul palco del LIVE AID i Duran Duran eseguono anche quel pezzo: l’esibizione è visibilmente adrenalina ma la band suona con potenza, precisione e groove. Purtroppo continui feedback e fischi indesiderati (forse il volume esagerato della chitarra distorta di Andy Taylor) tradiscono una condizione di ascolto non favorevole e una gestione dei suoni non esattamente sotto controllo. Tant’è che sul finale, al minuto 02:54, Simon Le Bon prende una stecca che farà sanguinare le orecchie al mondo.
Bob Dylan, Ron Wood e Keith Richards
Tra e cose non andate esattamente per il verso giusto al LIVE AID, l’esibizione di Bob Dylan con i due chitarristi dei Rolling Stones, Ron Wood e Keith Richards, resta memorabile. Qui non si tratta di un errore ma del situazionismo stralunato creato da tre rockstar - forse - non proprio fresche come rose. E’ Ron Wood a ricordare la vicenda: “Un giorno Bob Dylan mi telefonò per chiedermi se volevo fare un concerto di beneficenza con lui. Si presentò a casa mia sulla West 78th Street per decidere quali canzoni avremmo potuto fare. Bob mi stava mostrando gli accordi quando gli suggerì di coinvolgere anche Keith Richards. Così telefono a Keith e gli propongo di essere dei nostri. Ma è di cattivo umore e quando sento che è in quel mood, ho imparato a lasciarlo perdere. Dico a Bob: "Non sono così sicuro che Keith possa farcela…” Ma due ore dopo, con ancora Bob Dylan nel mio salotto che ripassava i pezzi, suona il campanello e c’è Keith che dice: "Allora cosa dobbiamo fare?” Abbiamo provato di brutto, praticamente tutto il repertorio di Dylan. Ci salutiamo e ci rivediamo il giorno del concerto: non avevamo idea di dove avremmo suonato. Ci recupera una Limousine per portarci a Philadelphia: un’ora e mezza di macchina con un camion - Bob Dylan a bordo e guidato da sua figlia - che ci fa strada. Keith era stravolto e mi dice ”Speriamo che non sia una stronzata, che ne valga almeno la pena…”. Lo era, era il LIVE AID!. Arrivati sulle scale, a lato del palco, Bob Dylan decise di fare l’unico maledetto brano che non avevamo provato: “Blowin’ In The Wind”. Non potevo crederci ma era troppo tardi per mettersi a discutere. Come se non bastasse, proprio nel mezzo dell’esecuzione, una delle corde della chitarra di Bob si è rotta. Gli ho consegnato la mia chitarra e sono rimasto davanti a quella marea di gente, in mondo visione, a fare air guitar. Ma non è finita, perché quando dal backstage mi hanno passato un’altra chitarra acustica, era totalmente scordata…"