Song 2, la via di fuga dei Blur
Il 7 marzo 1997 i Blur pubblicavano 'Song 2', un singolo nato come presa in giro e diventato una hit cult che segnò l'addio della band al Britpop
Il 7 aprile del 1997 i Blur pubblicavano 'Song 2', una hit che permise alla band di Damon Albarn e Graham Coxon di fuggire dal britpop.
Che piaccia o meno, il Britpop è stato uno degli ultimi grandi fenomeni della musica rock e pop in grado di impattare pesantemente sulla cultura a 360°.
Uno degli ultimi step prima che l'esplosione di nu-metal, emo e indie sleaze mettesse praticamente a dormire ogni speranza di impattare direttamente sul look e sul senso di comunità degli appassionati di rock.
Come spesso accade in questi casi, nonostante un mare di proposte più o meno buone, fu lo scontro titanico tra Oasis e Blur a monopolizzare la scena.
Una scena che finì per risultare stretta a Damon Albarn e Graham Coxon che non si sono mai trovati troppo a loro agio con il rock tradizionale e, dal giorno uno, hanno sempre cercato di guardare sì alla musica britannica - specialmente quella 60s dei Kinks - o il sound baggy dell'epoca ma con un senso di mutevolezza.
Ma dall'altra parte dell'Oceano c'era un altro suono e una scena, quella grunge, che stava diventando altro dopo la morte di Kurt Cobain.
Song 2, il vaffanculo al Britpop
E proprio agli Stati Uniti guardarono i Blur per registrare l'omonimo quinto album in studio e per realizzare un brano che fosse, di fatto, una presa in giro a quel mercato che storicamente le band britanniche facevano fatica a conquistare.
Chitarre rumorose, due minuti scarsi, un testo senza senso e un ritornello senza testo se non quel 'whoo-hoo' diventato poi culto era tutto ciò che Graham Coxon pensava bastasse per poter sorprendere i discografici, senza avere reale consapevolezza del suo potenziale. Anche il titolo 'Song 2', è esattamente ciò che sembra: un nome 'work in progress' mai cambiato, una bozza, qualcosa di temporaneo che è rimasto per sempre.
Mai il chitarrista dei Blur avrebbe pensato che quella piccola canzone, nata in modo completamente diverso - un numero acustico e quasi da bossa nova - avrebbe davvero colpito l'etichetta.
Nessuno scherzo questa volta, l'intenzione fu subito di fare uscire Song 2 come singolo e dire per sempre addio alle sonorità british che avevano caratterizzato tutta la discografia della band fino a quel punto.
Un vaffanculo al britpop, alle battaglie tra band, alle copertine dei Suede, ai successi degli Oasis.
In soli due minuti i Blur trovarono una nuova identità e continuarono a mutare, dando linfa vitale al proprio repertorio che, al di là di vinti e vincitori, li certificherà come musicisti che non avevano paura di osare.

Il successo paradossale di Song 2
Nonostante le sue origini ironiche, Song 2 è diventata rapidamente una delle canzoni più iconiche dei Blur — e, sorprendentemente, un successo internazionale. Nel Regno Unito ha raggiunto il secondo posto in classifica, ma il vero colpo di scena è stato il successo negli Stati Uniti, dove la Britpop raramente aveva avuto impatto. Song 2 sfondò, ricevendo ampio passaggio radiofonico nelle stazioni alternative e nelle college radio.
La critica elogiò la sua energia grezza, la durata concisa e il coraggio nel rompere con il tipico sound Britpop a cui Blur ci aveva abituati. Il ritornello, con il suo “Woo-hoo!” urlato, divenne subito riconoscibile — echeggiando negli stadi, nei videogiochi, negli spot pubblicitari.
È stato un paradosso: una canzone nata come presa in giro del rock americano diventò il trampolino di lancio per la band proprio in quel mercato.
Con il tempo, Song 2 è passata dall’essere una parodia intelligente a un inno vero e proprio. È oggi considerata un classico del rock alternativo degli anni ’90, usata durante eventi sportivi, apparsa in innumerevoli media, e ancora capace di scatenare il pubblico anche dopo oltre vent’anni dalla sua uscita. Forse i Blur l’avevano scritta come uno scherzo… ma il mondo l’ha presa sul serio.
Il video cult di Song 2
Il video di Song 2, diretto da Sophie Muller ha contribuito a rinforzare il successo del brano e cattura perfettamente l’energia esplosiva e l’ironia del brano. Ambientato in una semplice stanza con pavimento in legno, tutto inizia in modo sobrio: la band si sistema e inizia a suonare, come se fosse una normale prova.
Ma poi arriva il ritornello. Al primo “Woo-hoo!” urlato da Damon Albarn, qualcosa cambia. Una forza invisibile — come un’esplosione d’aria o di suono — scaglia i membri della band all’indietro. Vengono sbattuti contro i muri, volano nella stanza, cadono — ma continuano a suonare imperterriti.
Man mano che la canzone prosegue, il caos si ripete. La telecamera trema, segue i movimenti con scatti e vibrazioni, imitando il ritmo frenetico del brano.
Eppure, ciò che rende il video davvero geniale è la calma con cui la band affronta tutto: anche mentre vengono catapultati in giro come pupazzi, i loro volti restano impassibili. È un esempio perfetto di umorismo britannico: freddo, secco, intelligente. Sembra quasi una parodia delle performance rock troppo serie e teatrali dell’epoca — e allo stesso tempo, è una performance autentica e potente.