Ritchie Blackmore: dal fuoco dell’hard rock alla magia medievale
Da pioniere dell’hard rock con Deep Purple e Rainbow alle suggestioni medievali dei Blackmore’s Night: la visione e la coerenza di un mago della chitarra.
Ritchie Blackmore non è stato solo il chitarrista straordinario dei Deep Purple, ma un vero rivoluzionario del suono del rock. La sua influenza trascende la sua stessa celebrità da guitar hero e si estende all’evoluzione del linguaggio musicale del genere. Se fino a lui l’hard rock rappresentava l’esasperazione più feroce e vigorosa del rock con il blues, con Blackmore il paradigma cambia: per lui, il rock era già un territorio di contaminazione, dove blues, rock & roll, jazz, country, glam e folk potevano convivere.
Ma la vera intuizione di Ritchie Blackmore è l’apertura del rock alla musica classica. Questa fusione spalanca nuove possibilità melodiche, superando i confini delle classiche scale blues che, per quanto sublimi nelle mani di Jimi Hendrix o di Eric Clapton con i Cream, stavano raggiungendo i loro limiti espressivi. L'anniversario della pubblicazione di MACHINE HEAD (1972) - album della consacrazione dei Deep Purple contenente capolavori come "Smoke On The Water" o "Higway Star" - ci offre il pretesto per una retrospettiva sullo stile e la personalità di Ritchie Blackmore.

Dalla Classica le basi del metal
Ritchie Blackmore introduce nel rock un vocabolario nuovo: velocità inedite, frasi che iniziano ad ispirarsi a Bach e Paganini, azzardando arpeggi e sequenze che fino ad allora appartenevano solo a violinisti e pianisti. Non a caso, sarà lui, più ancora di Jimi Hendrix, a ispirare la generazione di virtuosi dello speed metal neoclassico esplosa negli anni ’80: da Yngwie Malmsteen al primissimo John Petrucci, passando per Randy Rhoads. Ma il suo contributo non è solo tecnico, è anche armonico: l’influenza della musica classica rende il rock più oscuro, torvo, avvolgendolo in un’aura epica e drammatica. Questo, unito all’aggressività e all’energia del suo stile, fa di Blackmore – e della musica scritta con i Deep Purple – un pioniere dell’heavy metal. Un genere di cui non ha solo contribuito a scolpire il suono, ma anche l’estetica, grazie a un personaggio a dir poco leggendario: lunatico e imprevedibile, egocentrico ed eccentrico, si muoveva tra humour nero (per altro, l’unico colore del suo outfit) e passioni eccentriche per il Johnny Walker Black Label, gli strip-club e le sedute spiritiche.
Parola d'ordine: coerenza
Nonostante la sua giovanile vocazione a esplorare e mescolare generi differenti (a soli 18 anni suona negli Outlaws, una band di session man al servizio di vari artisti, dove la versatilità e l’eclettismo non erano un’opzione, ma la base stessa del mestiere) una volta trovata la sua identità musicale nell’hard rock con i Deep Purple, Ritchie Blackmore vi si dedica con una coerenza quasi assoluta. Anche in questo, anticipa un atteggiamento di fedeltà e totale adesione stilistica al genere che diventerà uno dei tratti distintivi dell’heavy metal. La sua visione del rock, più pesante e definitiva che mai, emerge chiaramente con IN ROCK (1970), il primo album registrato con la formazione Mark II quella leggendaria con Ian Gillan alla voce e Roger Glover al basso. I Deep Purple, infatti, hanno attraversato diversi cambi di line-up nel corso della loro carriera, e ogni formazione viene tradizionalmente identificata con il nome Mark, seguito da un numero progressivo. La Mark II è considerata la più iconica, ed è con questa che Blackmore definisce il sound della band. Da quel momento, Blackmore spinge la band verso una potenza e un’aggressività sempre maggiori: prima con FIREBALL (1971), e poi con il capolavoro MACHINE HEAD (1972), disco che contiene due pietre miliari del rock come "Smoke on the Water" e "Highway Star", brani che cristallizzano i Deep Purple nella leggenda. Proprio in ossequio a questa coerenza stilistica, Blackmore non esita ad abbandonare la band quando la direzione musicale cambia con l’ingresso di Glenn Hughes al basso e alla voce, e di David Coverdale (futuro leader degli Whitesnake) alla voce. Pur riconoscendo il valore della nuova incarnazione dei Deep Purple, che con la loro pronuncia più rock-funk realizzano dischi pionieristici, Blackmore vuole restare fedele alla sua idea di hard rock e nel 1975 fonda i Rainbow, band che diventerà un’istituzione per la scena metal.
Dai Rainbow alle fascinazioni medioevali
Con Ronnie James Dio alla voce, i Rainbow coniugano la potenza dell’hard rock con suggestioni epiche e medievaleggianti, anticipando sonorità che influenzeranno il power metal. L’album più rappresentativo di questa fase è RISING (1976), un capolavoro in cui la chitarra di Blackmore brilla in tutta la sua teatralità, con brani come "Stargazer" e "A Light in the Black" che fondono tecnica, lirismo e aggressività. La volontà di coerenza di Ritchie Blackmore però, raggiunge il suo apice con i Blackmore’s Night, dove l’urgenza di esprimere la propria visione musicale va oltre l’hard rock e si immerge completamente nelle sue ispirazioni più esoteriche e storiche. Blackmore si sente sempre più uno stregone del rock, un mago a suo agio nell’immaginario medievale, e la sua musica ora vuole evocare quel mondo. Fondati nel 1997 insieme alla cantante e compagna Candice Night, i Blackmore’s Night rappresentano un viaggio nel folk rinascimentale e celtico, con brani ispirati alla musica medievale e barocca. Lontano dalle distorsioni e dalle cavalcate elettriche, Blackmore esplora strumenti acustici e melodie incantate, senza però rinunciare al suo tocco inconfondibile. Album come SHADOW OF THE MOON (1997) e FIRES AT MIDNIGHT (2001) mostrano il suo talento sotto una luce completamente nuova.
La chitarra di Blackmore
La cifra della personalità di Ritchie Blackmore si riflette anche nel suo rapporto con lo strumento. È stato il primo chitarrista a modificare in modo così radicale la Fender Stratocaster, la chitarra elettrica per eccellenza. Un contrasto affascinante: la stessa Stratocaster che Jimi Hendrix aveva usato, immacolata così com’era uscita dalla fabbrica, per cambiare la storia del rock, con Blackmore deve cedere alle esigenze di un’idea musicale nuova e invadente. Per amplificare la drammaticità del tocco e la profondità dei vibrati, Blackmore introduce la tastiera scalloped – con i tasti scavati, in stile liuto rinascimentale. Per non ostacolare il furioso lavoro del plettro, elimina il pickup centrale, liberando spazio per fraseggi incendiari, capaci di tratteggiare scale e sequenze a velocità fino ad allora inaudite nel rock. Un’altra intuizione che anticipa la tendenza che dominerà gli anni ’80: chitarre modificate in ogni modo per assecondare le esigenze di guitar hero come Eddie Van Halen, Steve Vai, Vinnie Moore o Jake E. Lee.