Il 4 maggio 1982 I Cure pubblicavano "Pornography", quarto album in studio e tra i momenti più oscuri e maestosi della discografia della band.
Considerato il terzo e ultimo capitolo della trilogia dark dei Cure cominciata con Seventeen Seconds e Faith, Pornography arrivò dopo un periodo particolarmente cupo per Robert Smith.
Un tour estenuante, i lutti personali e la depressione del cantante, uniti all'eccesso di droghe e alcool, portarono i Cure e Smith sull'orlo di un precipizio, fornendo l'allucinante energia propulsiva per realizzare Pornography.
Il punto morto di Robert Smith
Dentro di sé Smith era convinto di essere arrivato ad un punto morto e che, dopo i primi anni di carriera, i Cure fossero destinati ad esaurirsi in un lampo. E chissà che anche lui stesso non avrebbe fatto la stessa fine, anzi ne era quasi convinto. Un ultimo disco leggendario e poi addio a tutti, una fuga dal mondo e una fuga da sé che il leader dei Cure, 22 anni, cercò di esorcizzare vagando per l'Inghilterra.
Tutto quel male di vivere Smith aveva bisogno di proiettarlo verso l'esterno, una necessità imprescindibile per non soccombere che cercherà di esorcizzare nei versi dell'opening One Hundred Years, nella quale canta 'It doesn't matter if we all die'.
Un grido nichilista che rappresenta il manifesto di un disco che sembra uno spettrale sogno lucido proiettato dalla testa di Smith, che proprio in questo periodo cominciava anche a vestirsi della iconica, arruffata chioma e del rossetto frutto delle frequentazioni con Siouxsie.
E proprio il sempre più stretto legame tra Smith e i Banshees era tra gli elementi di disturbo interni alla dinamica dei Cure, infastiditi da un rapporto extraconiugale che non faceva altro che inasprire le tensioni, già pesanti per il cabaret di alcol e sostanze psichedeliche che circondava la formazione.