Pillole di Stile: perché la classifica dei 250 migliori chitarristi non mi ha convinto
La cosa migliore della classifica dei 250 migliori chitarristi di sempre? L'interesse mosso attorno a chitarra, rock e musica suonata. Ma oltre a questo...
Rolling Stone ha pubblicato una classifica dei migliori 250 chitarristi di sempre. L’ho guardata e riguardata, per più di una settimana. Ne ho parlato con diversi amici e colleghi, tra giornalisti e musicisti. E ho letto con interesse i commenti degli Sfrecciati sui social. Ecco cosa mi è piaciuto e cosa mi è piaciuto meno.
Parto dalle cose che ho apprezzato. La prima, la più evidente è che - per la loro stessa natura - le classifiche accendono sempre animi e discussioni e quindi, in questo caso, visto che il dibattito interessa la musica suonata, i musicisti e la chitarra, è bello respirare così tanto fervore su questi argomenti. Parlare di musica, fa bene alla musica. Rivendicare spazi e ruoli a musicisti che si apprezzano è non solo una maniera per far conoscere e condividere i propri gusti ma anche un modo per contribuire attivamente alla visibilità di quegli artisti, di quelle band, di quel genere. Infervorare le pagine dei social lamentandosi dell’esclusione di John Petrucci dei Dream Theater da questa classifica, tanto quanto compiacersi che vi abbia trovato spazio una meravigliosa esordiente come Yvette Young dei Covet, significa - comunque - generare visibilità per questi artisti e curiosità in chi non li conosce, esortando l’ascolto di altra musica. Ma soprattutto, è un segnale che arriva a chi lavora in questo settore (promoter, discografici, giornalisti, media…); una spia lampeggiante che indica quanto la chitarra e il rock - genere in cui la sei corde è da sempre la reginetta - godono di pubblico e attenzione. Insomma, sono in buona salute.
Salto di qualità
Una classifica del genere poi, ha un altro strascico positivo. Perché io credo che una persona faccia il salto di qualità (da semplice ascoltatore ad appassionato e poi intenditore di musica) solo quando prende una piccola, semplice ma degna abitudine: aprire la copertina di un album e leggerne note e crediti (chi ci suona, chi l’ha prodotto, chi l’ha registrato). Informazioni che - ovviamente - chi non può bearsi della goduria di sfogliare il cartaceo di un vinile, può facilmente recuperare on line. Voler dire la propria su una classifica del genere, mette nelle condizioni di fare esattamente questo: perché magari, tutti sanno che il chitarrista dei Guns N’Roses è Slash e che di bravi come Eddie Van Halen, Carlos Santana o Angus Young ce ne sono pochi. Ma non è detto che tutti sappiano chi suona la chitarra in quel disco di Alice Cooper, Black Stone Cherry o PIL che ci piace da pazzi e di cui - magari - proprio suoni e parti di chitarra ci sembrano la ciliegina sulla torta.
Le note dolenti
E ora veniamo alle note dolenti. A rischio di sembrare retorico, a me è il concetto di classifica dei migliori che non convince e addirittura urta se riferito alla musica, dove tutto è soppesato sul piano soggettivo dei gusti e delle emozioni. La classifica dei chitarristi che hanno venduto più dischi; quella dei nominati al maggior numero di Grammy; quella dei cecchini che infilano più grappoli di note in un assolo… queste potrebbero essere classifiche di carattere oggettivo! Ma migliori chitarristi vuole dire poco, nulla. Poi, un’altra cosa mi disturba: l’urgenza di schiaffare nella classifica dei migliori di sempre un chitarrista attuale, mettendolo sullo stesso piano di un titano del rock che ha fatto dischi da decenni e ha il merito comprovato di aver fatto evolvere il genere. Voglio dire: in questa classifica ci sono, per esempio, la già nominata Yvette Young dei Covet o Tim Henson dei Polyphia. Io adoro entrambi, e mi sono gasato quando, passando le loro band, ho visto l’entusiasmo degli ascoltatori di Radiofreccia.
Ma come possono stare davanti - per esempio - ad Andy Summers dei Police o Steve Jones dei Sex Pistols? Musicisti che hanno letteralmente inventato un modo diverso di suonare la chitarra, se non addirittura (nel caso di Jones) contribuito a scatenare una rivoluzione come quella del Punk che ha persino tracimato i confini della musica. È legittimo l’entusiasmo e la voglia di gratificare il nuovo che avanza: ma serve il giudizio degli anni per misurare l’impatto autentico di un musicista sulla scena in cui si è affacciato. Tante volte lo strepito per un nuovo prodigio si è esaurito nello spazio di un album, non lasciando traccia e seguito.
Chitarre omesse e dimenticate
E la presenza di così tanti nuovi nomi, rende ancora più seccante l’aspetto sgradevole delle omissioni. Per me, tra le peggiori c’è quella di John Petrucci, chitarrista che - per la cronaca - non è neppure tra i miei preferiti; ma è innegabile sia stato tra i più influenti degli ultimi trent’anni anni, considerato che i Dream Theater hanno dato nuova vita al progressive rock, quando impazzavano grunge e alternative, salvaguardando un presidio per il rock più tecnico e pesante, comunque garantendo composizioni e album di spessore. Stessa cosa dicasi per Yngwie Malmsteen che ha, di fatto, brevettato lo speed metal neoclassico o Paul Gilbert, Marty Friedman e Jason Becker, muse per intere generazioni di chitarristi shred che hanno spronato allo studio.
Magari questi sono nomi vicini ai miei gusti, suscettibili di una mia preferenza; altre mancanze, però, sono oggettivamente grottesche. Manca Gary Moore, che Glen Hughes (bassista e cantante di Deep Purple e Black Sabbath) ha definito “uno dei più grandi con cui ha suonato”. E manca George Benson, uno che ha iniziato a registrare dischi a 10 anni, si è fatto le ossa con Miles Davis, ha ottenuto il triplo disco di platino con BREEZIN’ (1976) ed è, senza dubbio, uno dei grandi della chitarra jazz di tutti i tempi. Ma manca soprattutto Allan Holdsworth, un alieno della chitarra rock fusion, idolatrato da gente come Eddie Van Halen, Frank Zappa, Steve Vai (che, sì, lo definisce “il migliore”) e Vernon Reid dei Living Colour. Vernon Reid che sui social, ringraziando per il suo 42° posto in questa classifica, ha comunque definito l’assenza di Holdsworth "pura ignoranza".
E dopo questo pippone?
Sicuramente, dopo un pippone del genere, qualcuno potrebbe essere più che legittimato a chiedermi: “Ma tu sapresti fare una classifica più attendibile, scienziato?”. No, non credo. Soprattutto perché, per quanto detto sopra, bandirei la parola migliore, e piuttosto che una classifica proporrei delle raccolte, delle selezioni, oppure delle retrospettive come quella che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, dedicata ai chitarristi di Alice Cooper. Ma se proprio - spalle al muro - non potessi esimermi dal fare una classifica dei migliori chitarristi, allora sì che avrei un precetto su cui sarei irremovibile. Imporrei l’esclusione di Jimi Hendrix. Non esiste una classifica dei chitarristi in cui lui non sia al primo posto. Ma il punto è che Jimi Hendrix deve stare oltre il primo posto, perché lo trascende in quanto origine e ragione della chitarra rock. Altrimenti è come fare la classifica dei Santi e continuare mettere al primo posto Dio. Quando i Santi sono tali proprio perché sua emanazione…Iperboli a parte, preservare a Hendrix questo status che ne rende superflua la presenza sul podio, garantirebbe alla classifica nuovi spazi, dinamica, diverse tensioni di analisi e giudizio.
p.s. … in ordine volutamente sparso, limitandosi a una Top 10, io direi: Steve Jones (Sex Pistols), Andy Summers (Police), Steve Vai, Dimebag Darrell (Pantera), J Mascis (Dinosaur Jr.), Eddie Van Halen, Dave Grohl (Foo Fighters), The Edge (U2), Robert Fripp (King Crimson), Paul Gilbert (Mr. Big, Racer X).
Sbam!