PHYSICAL GRAFFITI: il disco totale dei Led Zeppelin
Doppio album, potenza sonora, eclettismo senza confini: con PHYSICAL GRAFFITI (1975), i Led Zeppelin si sono presi il trono del rock.
PHYSICAL GRAFFITI, sesto album dei Led Zeppelin, arriva nei negozi il 24 febbraio 1975 con il peso di una sfida imponente: dimostrare che la band non è solo la più grande rock 'n' roll band del pianeta, ma che ha anche l'autorevolezza artistica per scolpire il proprio nome nella storia della musica accanto ai giganti. Sul piano commerciale non esiste discussione: nessuno è al loro livello. Hanno dominato arene e stadi in ogni angolo del globo, da Boston a Milano, da Hong Kong ad Amburgo. Ogni album pubblicato è diventato disco di platino, con LED ZEPPELIN IV (1971) che ha già superato i tre milioni di copie vendute. I loro concerti infrangono record: nel 1973, 56.800 spettatori li acclamano a Tampa, mentre nel 1975, sei date consecutive al Madison Square Garden attirano 120.000 persone.
Se il rock ha un Olimpo, i Led Zeppelin siedono tra le divinità più luminose del genere, accanto a Beatles, Who e Rolling Stones. Ma per suggellare il proprio status anche a livello artistico, serve qualcosa di più: serve un album capace di reggere il confronto con SGT. PEPPER'S LONELY HEARTS CLUB BAND (1967), TOMMY (1969) e BEGGARS BANQUET (1968). Serve PHYSICAL GRAFFITI.

Serve un album doppio
La consapevolezza di dover realizzare un album imponente, capace di consolidare definitivamente il loro status, spinge i Led Zeppelin a pensare in grande sin dall’inizio: PHYSICAL GRAFFITI dovrà essere un doppio album. Non un semplice vezzo, ma una necessità. Perché se questo disco deve segnare un punto di svolta artistico, allora deve avere lo spazio per esplorare ogni sfumatura del linguaggio musicale in cui la band eccelle: dal blues acustico al rock più duro ed epico, dalle suggestioni orientali ai richiami folk. Un solo LP non sarebbe bastato per catturare la vitalità creativa, l’eclettismo e la continua tensione all’innovazione che, al momento, erano tanto il loro fiore all’occhiello quanto il cuore della loro devastante potenza sonora. Ma c’è anche un preciso calcolo commerciale dietro questa scelta. Un doppio album, così variegato, avrebbe regalato ai fan un’esperienza totalizzante, un’immersione profonda nel mondo sonoro degli Zeppelin, alimentando ancora di più il loro impatto culturale e il loro peso sul mercato. Per la band, era il modo perfetto per ribadire la propria supremazia e segnare un nuovo standard nel rock.
Il recupero di gemme accantonate
Lo spazio offerto dalla prospettiva di un doppio album offriva ai Led Zeppelin un’altra opportunità preziosa: recuperare e dare nuova vita a brani rimasti fuori dagli album precedenti. Nel corso degli anni, la band aveva accumulato un tesoro di outtake di alta qualità, canzoni scritte e registrate durante le sessioni di LED ZEPPELIN III (1970), LED ZEPPELIN IV (1971) e HOUSES OF THE HOLY (1973), ma mai pubblicate. Tra queste, gemme come "Down By The Seaside" – inizialmente concepita come ballata acustica durante la produzione di LED ZEPPELIN IV – o "The Rover", brano nato per LED ZEPPELIN III e rimasto nel cassetto. Ma il caso più clamoroso è "Houses of the Holy" : scritta addirittura come title track per il disco omonimo del 1973, fu inspiegabilmente esclusa dalla scaletta, trovando finalmente posto in PHYSICAL GRAFFITI. Recuperare questi pezzi risolveva più problemi contemporaneamente. Alla vigilia delle registrazioni, la band aveva pronti solo otto brani inediti, tutti molto lunghi: se avessero puntato a un solo LP, avrebbero dovuto accorciarli, oppure scrivere nuovo materiale per riempire due vinili. Il riutilizzo di tracce già pronte permetteva di evitare forzature, completando il doppio album senza sacrificare la naturalezza dei nuovi brani. In più, valorizzava canzoni troppo ben scritte per restare relegate negli archivi e sottolineava la straordinaria versatilità stilistica della band. Il risultato è un’opera monumentale, capace di spaziare tra atmosfere folk, hard rock, blues e sperimentazione sonora senza perdere coesione.
Il capolavoro di "Kashmir"
Selezionare i brani più rappresentativi di PHYSICAL GRAFFITI è un’impresa ardua, perché il livello dell’album è talmente alto e omogeneo da rendere ogni pezzo indispensabile. Tuttavia, due tracce emergono per impatto storico e valore musicale: "Kashmir" e "Ten Years Gone".
"Kashmir" è senza dubbio il capolavoro dell’album e una delle più alte testimonianze della grandezza dei Led Zeppelin. Il cuore del brano è il leggendario riff di Jimmy Page, un’idea nata in una jam spontanea tra il chitarrista e John Bonham nella suggestiva cornice di Headley Grange, la dimora nell’East Hampshire che la leggenda voleva infestata dagli spettri, dove gli Zeppelin registrarono gran parte della loro produzione nei primi anni ’70. “Eravamo solo io e Bonzo” – ha raccontato più volte Page – “Lui ha iniziato a suonare quel grandioso portamento di batteria, io gli sono andato dietro e ho creato il riff. Alla fine, abbiamo deciso di farlo doppiare da una parte orchestrale. Quando abbiamo iniziato a suonarlo, forse condizionati dalla location, ci sembrava inquietante!”. Il brano cresce in un arrangiamento maestoso, in cui il rock si fonde con atmosfere orientali, creando un sound ipnotico e senza tempo. Il testo, scritto da Robert Plant durante un viaggio nel Sahara, aggiunge un ulteriore strato di mistero e avventura, trasformando "Kashmir" in una vera e propria esperienza sonora.
Un assolo di chitarra che commuove
Un’altra gemma dell’album è "Ten Years Gone", uno dei brani più amati dai fan della band. La canzone combina la struttura complessa e dilatata del progressive con una melodia toccante e introspettiva. Qui Page si supera, regalando uno degli assolo più emozionanti della sua carriera, intriso di eleganza e malinconia. Ma c’è anche un altro elemento che lo rende speciale: il suono visionario della sua chitarra, avvolta in un phaser ipnotico, un effetto di modulazione che diventerà un marchio di fabbrica per Page e che, anni dopo, sarà adottato da Eddie Van Halen, trasformandolo in uno degli elementi chiave del suo stile chitarristico.
Anche l’aspetto visivo contribuisce a rendere PHYSICAL GRAFFITI un’opera leggendaria. La copertina, una delle più iconiche del rock, ritrae un edificio di New York al 96 di St. Mark’s Place, con le finestre ritagliate per mostrare, di volta in volta, diverse immagini al loro interno. Un design geniale e dinamico, perfetto per un album che esalta l’eclettismo e la creatività dirompente dei Led Zeppelin.