03 luglio 2024

Muse, un buco nero di influenze per il futuro

Il 3 luglio 2006 i Muse pubblicavano "Black Holes And Revelations", l'album con il quale cambiarono traiettoria, andando a conquistare gli Stati Uniti

Il 3 luglio del 2006 i Muse pubblicavano "Black Holes and Revelations", un disco che segnò l'inizio di un cambiamento nella carriera del trio britannico.

Con già tre album all'attivo sulle spalle, i Muse erano già da tempo una realtà importante del panorama rock europeo che sin dal primo singolo ai tempi di "Showbiz" li aveva visti portarsi dietro, per una volta a ragione, il bollino di 'next big thing'.

Anche se il mondo era già ben consapevole della potenza portata dal trio di Teignmouth, una vera esplosione mainstream negli Stati Uniti e in tutto il mondo era ancora da arrivare definitivamente, ed è proprio questo che accadde con "Black Holes and Revelations", complice anche un cambio di sound che riuscì a mantenere integra l'epicità alla quale avevano abituato i loro fan, arricchendola con nuovi elementi.

L'approccio alla scrittura del disco da parte di Matthew Bellamy fu proprio quello di ricercare una bolla che gli permettesse di concentrarsi e assorbire nuove influenze mai apparse pienamente fino a quel momento nella musica dei Muse.




La nascita di "Black Holes and Revelations"

Per farlo, i Muse si trasferirono in uno dei luoghi più amati dagli artisti in cerca di isolamento dalle tentazioni della vita cittadina: Chateau Miraval, il castello nel Sud della Francia che ha ospitato chiunque, da Elton John a Pink Floyd, AC/DC e Cure.

Il grosso tema dei Muse è che, se apparentemente perfetti per il gusto barocco di certo pubblico europeo, mancava ancora qualcosa per fare breccia in territorio americano, tanto da portare la band ad uno scontro con l'etichetta che distribuiva la musica negli Stati Uniti, colpevole di richiedere qualcosa che fosse di più facile fruizione.

Come riuscirci mantenendo intatto lo spirito della band?



Di sicuro Matt Bellamy, Chris Wolstenholm e Dom Howard non pensarono di rinunciare alla complessità dei loro arrangiamenti, anche perché il marchio di fabbrica dei Muse era proprio dato dalle pillole di prog che riuscivano ad inserire in canzoni con una scrittura moderna e, se non sempre radiofonica, quantomeno fruibile.

Irrinunciabile, come irrinunciabili erano le tematiche care alla band che spaziavano tra spazio, alieni, politica e teorie del complotto che Bellamy conservò facendo leva sul clima che si respirava nei primi anni 2000, paragonato dal frontman a quello del dopoguerra.

Un'analogia che si legava anche alla tematica spaziale che creò anche una connessione 'familiare' nel suono del disco. Uno dei brani più noti, la cavalcata epica di Knights Of Cydonia, è infatti ispirata da 'Telstar', hit strumentale del 1962 ispirata dall'omonimo satellite per le comunicazioni e suonata dai Tornados, il cui chitarrista era il padre del frontman dei Muse

Se alcune delle canzoni cominciarono a prendere forma nel bucolico studio francese - poi completate tra New York e le Officine Meccaniche di Milano - le prime versioni risalgono ad anni prima e i primi tentativi di registrazione vennero fatti già per il precedente album "Absolution".

Parte di "Black Holes and Revelations" venne invece scritto durante il tour in supporto ad "Absolution", mentre ben cinque brani videro la luce durante un viaggio meditativo di Bellamy in Bhutan.


Muse, un buco nero di influenze per il futuro

Spiritualità, spiriti e nuove influenze

Dalla spiritualità di un viaggio come quello intrapreso dal cantante sull'Himalaya agli spiriti che popolavano le stanze di Miraval passò poco e i Muse si trovarono a dover fare i conti, come altri prima di loro, con le strane presenze del castello, così come con i pipistrelli che infestavano l'area.

E, come se non bastasse, anche il proprietario della tenuta e dei vigneti circostanti, sembrò essere poco amichevole nei confronti della band, come dichiarato da Matt Bellamy che lo accusò di aver interrotto a più riprese le sessioni di scrittura.

Intoppi a parte, la band riuscì a gettare le basi per qualcosa di vecchio e nuovo allo stesso tempo, arrivando a colmare quel piccolo gap che mancare per diventare un progetto di livello planetario.



Con un approccio epico e cinematografico intatto, Bellamy gettò nel calderone influenze che arrivavano anche da sonorità più americane, come il jazz, il surf, il funky e l'R'n'B che trovano massima espressione in quello che sarà uno dei singoli più amati della band e il brano più rappresentativo dei Muse 2.0: 'Supermassive Black Hole'.


Il buco nero aveva assorbito tutto, ricacciando fuori un sound mutante che guardava al futuro come mai prima d'ora rendendo i Muse non solo quei piccoli maestri di prog classico per le nuove generazioni ma i comandanti di un'astronave dall'andamento black, alimentata da riff robotici e indimenticabili.

Per la prima volta i Muse avevano capito che avrebbero potuto essere loro stesso, consentendo ad un nuovo pubblico di ballare sull'apocalisse delle loro canzoni.
"Black Holes And Revelations" fu un successo con un doppio disco di platino raggiunto entro la fine dell'anno, un primo posto in classifica nel Regno Unito e, per la prima volta, l'ingresso nella Top 10 della Billboard 200 negli Stati Uniti, dove l'album si piazzò alla nona posizione.

Con cinque singoli ad accompagnare tutto il periodo di vita dell'album, "Black Holes and Revelations" dimostrò che i Muse erano riusciti a muoversi nel loro parco giochi con rinnovata consapevolezza.