Da MELT a SO, Peter Gabriel reinventa il suo sound, passando dalla sperimentazione più audace alla vetta delle classifiche senza rinunciare alla qualità.
Nato il 13 febbraio 1950, Peter Gabriel è l’esempio perfetto di un artista che non ha mai smesso di evolversi. Dopo aver rivoluzionato il progressive con i Genesis e aver ridefinito i confini dell’art rock con la sua carriera solista, arriva alla metà degli anni ’80 con un’intuizione decisiva: far dialogare la sua anima sperimentale con un pop rock raffinato e accessibile, senza sacrificare un millimetro della sua ricerca sonora.
Il percorso che lo porta da PETER GABRIEL 3: MELT (1980) a SO (1986) è un viaggio incredibile, fatto di scelte coraggiose, collaborazioni straordinarie, l'apertura alla world music e una visione artistica che segnerà per sempre la musica.
PETER GABRIEL 3: MELT
Già dai Genesis, l’approccio alla musica di Peter Gabriel era profondamente ambizioso: far fiorire le canzoni al di fuori delle strutture convenzionali in cui erano ingabbiate, superando la rigidità della forma strofa-ritornello e la convenzionalità degli strumenti tradizionali (batteria, basso e chitarra elettrica). Persino il modo di eseguire i pezzi dal vivo doveva acquisire una profondità artistica inedita, con Gabriel che, tra trucco e costumi, si trasformava sul palco, proclamando parti recitate in apertura ai brani. Un modo di intendere la musica perfettamente in linea con le coordinate del progressive rock, genere di cui i Genesis erano tra i principali riferimenti, ma che Gabriel voleva modellare secondo una visione personale. L’intento del progressive era dare al rock una maggiore complessità e varietà stilistica – ritmica, compositiva, melodica e armonica – per conferirgli più spessore culturale e credibilità. Ma questa ricerca, spesso, andava a discapito della fruibilità delle canzoni, che diventavano affascinanti ma ostiche. È qui che, una volta sganciatosi dai Genesis, Gabriel si spende per esprimere la sua visione di art rock, un approccio che, pur restando ancorato alla ricerca e alla sperimentazione, non sacrificasse la genuinità e la naturalezza delle canzoni. Osa con eclettismo, con l’uso disinibito di ogni strumento alternativo a quelli canonici del rock, facendo convivere le più moderne opportunità offerte da sintetizzatori, tastiere ed elettronica con violini, mandolini, archi e flauti.
