Da quando, quel maledetto luglio del 2017 Chester Bennington è stato trovato senza vita, solo due mesi dopo l'altrettanto tragica scomparsa del suo amico Chris Cornell, il mondo del rock è stato travolto da una valanga.
Il dolore per la sua perdita provato dalla sua famiglia, dai suoi compagni di band e dai suoi fan ha gettato ancora una volta un grande riflettore sul tema della salute mentale all'interno dell'industria musicale.
Una tematica, quella della depressione, che è assolutamente centrale per la società moderna e che quando vede coinvolto un personaggio famoso scatena sempre un dibattito. Del resto, il fatto di essere famosi e ricchi come una rockstar non mette in alcun modo al sicuro un artista - che per altro è per natura dotato di una sensibilità innata - dai propri demoni.
"Nessuno conosceva la profondità della depressione di Chester"
Dopo la morte del cantante dei Linkin Park si è spesso sottolineato come, nelle ore precedenti alla sua scomparsa, fosse sereno e sorridente e il senso di colpa per non aver potuto prevedere alcuna mossa tragica è stato inevitabile per chi, come Mike Shinoda, con Chester ha condiviso un pezzo di vita.
L'MC dei Linkin Park, che da allora non sono più riusciti a tornare con qualcosa di inedito, men che meno con un altro cantante, ha parlato di Chester in un'intervista fatta con Howard Stern per parlare della ristampa per i 20 anni di "Meteora".
Commentando il rapporto con Chester e la sua salute mentale, Shinoda ha spiegato che, pur avendo tutti ben presente la sua complessità, nessuno potesse sapere quanto fosse davvero preda di se stesso. "Nessuno conosceva la profondità della sua depressione. Quando ho incontrato Chester per la prima volta non conoscevo la sua storia. Quando l'ho conosciuto mi sono trovato spesso a pensare di non aver mai sentito di qualcuno con un'infanzia così folle. Andare in giro per strada, farsi di droghe pesanti sul tetto della sua scuola, riuscire a malapena a rimanere fuori dal carcere.", ha detto. "Io non sono cresciuto così. Io mi sentivo un estraneo perché di razza mista e non mi sentivo parte di alcuna comunità. Sono mezzo giapponese ma non parlavo giapponese. Non sembro giapponese. I bambini bianchi pensavano che ovviamente non fossi bianco. I ragazzi latini mi parlavano in spagnolo ma io non parlavo spagnolo. Ero apolide".
A proposito di quanto fosse difficile avere a che fare con Chester, Shinoda ha raccontato di quanto l'umore del suo compagno di band fosse variabile e dei momenti più complicati passati durante i primi anni di vita dei Linkin Park: "Non era difficile tutto il tempo. La parte più complicata è stata all'inizio quando non sapevamo come sarebbe andata. Agli esordi di Hybrid theory abbiamo avuti alti e bassi. Dovevi andare a suonare nelle piccole radio, guidare tutta la notte e alla fine eri esausto, magari ti ammalavi. In quel contesto avere uno che scompariva e ritornava improvvisamente completamente devastato al punto da non potergli nemmeno parlare non è stato facile ma anche divertente".
Paragonando Chester ad 'Fun Bobby', un personaggio della serie Firends che è esilarante e amato da tutti solo da ubriaco, Shinoda ha aggiunto: "Quando era così c'era un elemento di Chester che era molto divertente, a volte. Il giorno dopo, invece, di solito era cupo, arrabbiato contro tutti e pronto ad urlarti contro. In quel caso cercavi solo di superare la giornata".