Johnny Marr degli Smiths: l’anti-eroe della chitarra rock
Johnny Marr, chitarrista degli Smiths, ha ridefinito il rock con uno stile unico: suono minimale, poetico, al servizio della canzone, senza virtuosismo
In occasione del suo 62° compleanno, rendiamo omaggio a Johnny Marr, uno dei chitarristi più influenti e originali della storia del rock. Figura chiave degli Smiths, Marr ha incarnato l’essenza dell’anti-eroe della chitarra, distinguendosi per il suo approccio minimale e melodico, che ha saputo emanciparsi dagli stereotipi del guitar hero tradizionale. Questo articolo ripercorre il suo percorso stilistico e l'impatto rivoluzionario che ha avuto nella musica rock, dimostrando come il suo stile sia rimasto una fonte di ispirazione per generazioni di musicisti e appassionati. Con gli Smiths infatti, Johnny Marr ha contribuito a definire il suono degli anni '80, influenzando band successive come Radiohead, Blur, Stone Roses e Oasis. La sua chitarra è diventata un simbolo del rock alternativo britannico.
Johnny Marr è uno dei chitarristi più influenti e originali della storia del rock, e non solo per aver scolpito il sound di una delle band più rilevanti di sempre, gli Smiths, assieme al cantante - e suo alter ego artistico - Morrissey. Il peso artistico di Marr non si limita alle magnifiche composizioni e al suo stile chitarristico; la sua incisività risiede nell’essere stato uno dei più brillanti esponenti di un approccio alternativo alla chitarra elettrica, accanto a musicisti come The Edge degli U2, Andy Summers dei Police, ma anche Peter Buck dei R.E.M., Charlie Burchill dei Simple Minds, Phil Manzanera dei Roxy Music e Robert Smith dei Cure. Mentre il rock dei decenni precedenti aveva esaltato figure di guitar hero focalizzati su virtuosismi e approcci radicati nel blues, Marr rappresenta una risposta diversa, consapevole e decisa, a questi stereotipi.
Al servizio della canzone
Il suo approccio rifuggiva l’individualismo per mettere il suono al servizio della canzone: creare parti semplici e dense, coerenti con il testo e capaci di valorizzare, se non addirittura arricchire, la melodia. La sua filosofia chitarristica si ispirava alla centralità melodica e minimale che la chitarra aveva nei Beatles. Marr guardava anche a un’altra tradizione musicale anni ’60: quella del jangle dei Byrds. Jangle è un termine per indicare uno stile chitarristico basato su suoni puliti e chiari, spesso creati con arpeggi su chitarre a dodici corde o, come per Marr, con elettriche effettuate con chorus e delay. Il termine “jingle-jangle” descrive il suono distintivo di chitarre come la Rickenbacker 12 corde, usata da Roger McGuinn dei Byrds, riferimento però – contrariamente a quanto si possa pensare – importante ma non così risolutivo per Marr, che racconta: “In molti mi associano a Roger McGuinn, ma è stato George Harrison a ispirarmi a prendere una Rickenbacker: "Ticket To Ride" è una canzone fantastica! Detto questo, la fonte principale del jingle-jangle per me è stata James Honeyman-Scott dei Pretenders. È stata l'ultima grande influenza sul mio stile prima di intraprendere la mia strada.”
Contro il virtuosismo
Questa attitudine jangle per Marr non si limitava alla ricerca sonora, ma implicava anche il rifiuto di assoli e arrangiamenti sofisticati. Le canzoni dovevano restare semplici, melodiche e – forse per l’eredità del punk – accessibili. Questa inclinazione artistica di Marr assume un valore speciale se si considera il periodo storico in cui gli Smiths emergono: nella seconda metà degli anni ’80, il chitarrismo speed metal e il virtuosismo tecnico dominavano la scena rock. Accanto a band come Van Halen, Metallica o Megadeth, basate su un chitarrismo debordante, spopolavano chitarristi come Yngwie Malmsteen, Steve Vai o Paul Gilbert, il cui rock e progressive erano basati sul virtuosismo. La musica degli Smiths e il chitarrismo di Marr sembravano così non solo una scelta musicale ma una visione ideologica: per Marr, tutto – dal suono alle scelte armoniche – doveva valorizzare l’anima della canzone, contrastando una produzione musicale che seguiva la perfezione tecnica a scapito dei contenuti.
La filosofia di Johnny Marr
In più di un’intervista Marr ha dichiarato che “la bontà di un brano risiede nella capacità di reggersi anche su una semplice esecuzione di chitarra acustica e voce” cosa che la musica iper-prodotta o virtuosistica non può sostenere. Marr ha così delineato un modello chitarristico che non è solo minimalista e denso di significato, ma ha dimostrato che la chitarra può rifiutare l'ostentazione per tornare a essere strumento di narrazione e poesia, innovando la musica rock attraverso la sincerità espressiva anziché il virtuosismo. Resterà celebre un’intervista in cui Johnny Marr spiegava: “Ho sempre pensato che qualsiasi strumentista sia, in sostanza, solo un accompagnatore del cantante e dei testi. Questo deriva dal fatto che sono stato un fan dei dischi prima di diventare un fan dei chitarristi. Mi interessano la melodia, i testi e l’intera canzone. Non mi piace sprecare note, nemmeno una. C’è un detto che recita: ‘Il motivo per cui certi chitarristi suonano così tante note è perché non riescono a trovare quella giusta.’ Mi piace mettere la nota giusta nel posto giusto, e le mie influenze sono sempre stati chitarristi di questo tipo: Keith Richards o gli assoli melodici di Nils Lofgren; amo le chitarre ritmiche di John Lennon e credo che George Harrison fosse un chitarrista incredibile. Ho un sano rispetto per chitarristi come Joe Satriani ed Eddie Van Halen, musicisti disciplinati che sanno davvero quello che fanno. Ma penso che persone come Yngwie Malmsteen dovrebbero essere dimenticate il prima possibile, lo penso davvero. Non ha quasi niente a che fare con la musica, e l’idea di ‘sono il più veloce del West’ è quasi come una sorta di crisi di panico di chi non vuole affrontare la propria omosessualità. Niente contro i gay, ma quando i chitarristi perpetuano questa immagine incredibilmente sessista super macho… beh, la trovo sospetta! E poi, io non so fare tutte quelle cose, quindi… ecco perché dico che sia stupido suonare così! [risate].”
Morrissey e Marr: opposti e complementari
Johnny Marr ha consolidato anche lo stereotipo del grande chitarrista spalla di un leader carismatico: il duo Morrissey e Marr rispetta la regola dei binomi complementari, come Jagger & Richards, Lennon & McCartney, Bono & The Edge, Gallagher & Gallagher, David Lee Roth & Eddie Van Halen. Morrissey e Marr partivano da una solida visione artistica e culturale condivisa, base per la formazione degli Smiths: “Era bello far parte di una band che si opponesse a certe cose. Eravamo contro i sintetizzatori, il governo conservatore, le band con nomi pomposi come Duran Duran o Orchestral Manoeuvers In The Dark, la monarchia inglese, gli assoli di chitarra suonati per far vedere quanto ce l’hai grosso e, in generale, la scena musicale americana dell’epoca.” Dalle loro personalità artistiche distinte e complementari nasce una tensione creativa unica. Morrissey portava una sensibilità lirica intensa: testi profondi, malinconici, con temi di isolamento e critica sociale, ricchi di riferimenti letterari. Marr, invece, offriva un supporto musicale luminoso e vibrante, quasi solare, che creava un contrasto intrigante con le liriche di Morrissey. Assieme, generavano una combinazione allora inedita tra l’anima dark della New Wave e del Post Punk, e la vitalità del pop anni ’60.
THE QUEEN IS DEAD, capolavoro degli Smiths
Il disco giusto per scoprire la musica degli Smiths è sicuramente THE QUEEN IS DEAD (1986), album che rappresenta il culmine della loro creatività. Con canzoni che spaziano da questioni politiche a riflessioni personali, l’album offre il meglio della capacità della band di essere melodica e coinvolgente, mantenendo una disarmante semplicità. In questo album ci sono capolavori come "I Know It's Over”, “Some Girls Are Bigger Than Other” o "There Is a Light That Never Goes Out", una delle migliori canzoni d’amore di sempre. Proprio su questo disco, Marr dirà: “THE QUEEN IS DEAD è sicuramente il miglior LP che abbiamo fatto, il più a fuoco, dall’inizio alla fine. L’ho inciso in un periodo oscuro della mia vita; ma dal punto di vista creativo, quella fase difficile ha prodotto qualcosa di davvero brillante. Cerco di prendermi cura di me stesso e vivere nel mondo reale, ma alcuni dei miei migliori lavori sono stati prodotti quando non ero nel mondo reale. Credo che suonare musica pop non sia qualcosa per cui vale la pena uccidersi… ma quando fai qualcosa di straordinario come THE QUEEN IS DEAD… beh, quasi, quasi ne vale la pena!”