George Harrison in 5 canzoni: oltre il chitarrista silenzioso
Attraverso cinque brani iconici, riscopriamo il lato più profondo, sperimentale e spirituale di George Harrison, oltre l'etichetta di “Beatle silenzioso”
Nato il 25 febbraio 1943, George Harrison è stato molto più di "The Quiet One", il chitarrista discreto all’ombra dell’ingombrante duo Lennon-McCartney. La sua personalità era profonda, sfaccettata, ricca di inquietudini e ispirazioni che lo hanno reso un artista completo: polistrumentista, cantautore, produttore cinematografico e persino attore.
Ha scritto brani leggendari come “Something”, "Here Comes The Sun" e “Taxman”, dando un contributo decisivo all’identità musicale dei Beatles. La sua passione per le sonorità indiane ha introdotto nel rock un’inedita fusione stilistica, anticipando l’idea di world music e sviluppando uno stile chitarristico unico, inconfondibile. Ma Harrison è stato anche il primo a sentire il bisogno di smarcarsi dalla Beatlemania: fu lui a spingere per l’addio della band ai concerti nel 1966 e il primo a tentare una strada solista con WONDERWALL MUSIC (1968). La sua sensibilità lo portò spesso a scontrarsi con il peso della fama e la frenesia del successo, spingendolo a cercare sempre più rifugio nella spiritualità e in spazi lontani dal clamore.

Ripercorrere la carriera di George Harrison attraverso una selezione di brani significa cogliere la profondità e l’evoluzione di un artista che ha saputo unire melodia, sperimentazione e spiritualità. Dalle sue prime incursioni nella scrittura all’interno dei Beatles fino alla consacrazione solista, le sue canzoni rivelano un talento sfaccettato, capace di alternare ironia e introspezione, energia rock e atmosfere mistiche. Ecco cinque brani che raccontano il suo percorso.
Taxman (1966, album REVOLVER)
"Taxman" è una delle prime canzoni scritte da George Harrison per i Beatles, ma porta anche l’impronta dei suoi celebri colleghi. John Lennon, seppur senza grande entusiasmo, gli diede una mano sul testo – come raccontò anni dopo: "Ricordo il giorno in cui mi chiamò per chiedermi aiuto su 'Taxman'. Gli ho buttato lì alcune frasi per dargli una mano. Mi aveva chiamato perché non poteva rivolgersi a Paul". Paul McCartney, invece, aggiunse un contributo musicale sorprendente: un assolo di chitarra feroce, ispirato ai Cream di Eric Clapton, che contrasta con la secchezza ritmica del brano. La canzone nasce come una polemica contro il sistema fiscale britannico, che all’epoca imponeva un’aliquota del 95% ai redditi più alti. Come spiegò Harrison nella sua autobiografia "I Me Mine" (1980): "Benché avessimo cominciato a guadagnare soldi, in realtà ne stavamo dando via la maggior parte in tasse". Curiosamente, il titolo "Taxman" e la sua ripetizione ritmica ricordano il Batman Theme, la sigla del celebre telefilm. Tuttavia, la serie debuttò in Gran Bretagna solo a maggio del 1966, quando la canzone era già stata registrata, rendendo improbabile un collegamento diretto
Something (1969, album ABBEY ROAD)
"Something" è probabilmente la canzone più celebrata scritta da George Harrison. Tra i tributi più celebri c’è quello di Frank Sinatra, che la definì "la più bella canzone d’amore degli ultimi cinquant’anni", rendendola spesso parte del suo repertorio live – sebbene in un’occasione scivolò clamorosamente attribuendola a Lennon e McCartney. Il brano è il secondo più reinterpretato del catalogo beatlesiano dopo "Yesterday", con versioni memorabili di artisti come James Brown e Joe Cocker. Ma lo stesso mondo dei Beatles ha reso omaggio a questa gemma: John Lennon la definì "la miglior canzone di ABBEY ROAD" (anche se in un’altra occasione riservò lo stesso complimento a "Here Comes the Sun"), mentre Paul McCartney dichiarò: "Secondo me è la miglior canzone che George abbia scritto". Il produttore George Martin, sorpreso dalla qualità del brano, ammise: "Una grande canzone. Non mi aspettavo che George potesse scriverla”. Eppure, quando Harrison la propose ai Beatles per THE BEATLES (1968), la risposta fu un secco rifiuto: "No grazie, abbiamo già abbastanza canzoni". Bisognò attendere ABBEY ROAD perché il pezzo trovasse finalmente il suo posto, diventando uno dei momenti più alti della carriera dei Fab Four.
Here Comes the Sun (1969, album ABBEY ROAD)
Una fuga dagli impegni grigi di ufficio e lavoro, per rifugiarsi all'aperto, tra il verde, coccolati dalla primavera e a casa di un amico armato di chitarra – e che, per di più, la suona da paura, visto che è Eric Clapton. Quale occasione migliore per scrivere una canzone? Ed è così che nasce "Here Comes the Sun”. Nel 1969, i Beatles erano ormai soffocati da problemi burocratici e riunioni infinite legate alla Apple Corps, la loro società discografica e commerciale, diventata un peso più che un'opportunità. Harrison, stanco dell’ennesimo meeting, decise di saltarlo e rifugiarsi nella casa di Clapton, a Ewhurst, nel Surrey. Seduto in giardino con una chitarra acustica, trovò ispirazione nella bellezza della natura e nella sensazione di sollievo per la fine dell’inverno – sia in senso climatico che metaforico. Il risultato è una delle canzoni più luminose e ottimistiche mai scritte dai Beatles, un vero inno alla rinascita. Paradossalmente, mentre la band si avviava verso lo scioglimento, Harrison trovava sempre più spazio come autore, firmando due delle gemme più amate di ABBEY ROAD: questa e “Something"
While My Guitar Gently Weeps (1968, album THE BEATLES)
"Here Comes the Sun" non era la prima volta che l’amico Eric Clapton si rivelava la carta vincente per George Harrison. Se nel 1969 fu la sua compagnia a ispirare il pezzo, un anno prima erano state le sue proverbiali abilità chitarristiche a creare la magia e a convincere i Beatles a includere "While My Guitar Gently Weeps" nell’album bianco. Inizialmente, Lennon e McCartney snobbarono la canzone, lasciando Harrison amareggiato. Come ricordò lui stesso: "Era molto difficile convincere John e Paul a prendere sul serio una mia canzone, e penso che non si impegnassero granché neppure suonandola. Tornai a casa pensando che era un peccato, perché secondo me era piuttosto buona”. Il giorno successivo, mentre era in macchina con Clapton, gli chiese di suonare nel pezzo. Clapton esitò: "Oh no, non posso farlo. Nessuno ha mai suonato in un disco dei Beatles e gli altri non gradirebbero". Ma Harrison insistette: "Senti, la canzone è mia e a me piacerebbe che tu ci suonassi”. Alla fine, Clapton accettò e si presentò in studio. La sua presenza cambiò completamente l’atteggiamento della band: "Annunciai: ‘Eric suonerà in questo pezzo’ e, improvvisamente, tutti iniziarono a impegnarsi di più. Eric suonò e a me parve un’ottima esecuzione”. Il risultato è uno dei momenti più intensi e drammatici dell’intera discografia dei Beatles: un blues dolente e malinconico, elevato dal tocco inconfondibile di Clapton e dal songwriting profondo di Harrison.
Got My Mind Set on You (1987, album CLOUD NINE)
Dopo aver scritto alcune delle canzoni più iconiche della storia del rock, George Harrison trovò un successo straordinario anche come interprete. "Got My Mind Set on You", pubblicata il 12 ottobre 1987, rappresentò per lui un ritorno clamoroso ai vertici delle classifiche, diventando l’ultimo singolo di un ex Beatle a raggiungere la numero uno negli Stati Uniti. Si tratta di una cover di un pezzo scritto da Rudy Clark e registrato nel 1962 da James Ray, ma nelle mani di Harrison si trasforma in un inno solare e irresistibile, che celebra le sue radici rock più spensierate. Dopo anni di carriera solista più riflessiva e introspettiva, questa canzone mostra il lato più leggero e divertito di Harrison, confermato anche dal videoclip incredibilmente innovativo per l’epoca: tra effetti speciali sorprendenti e trovate surreali, l’ex Beatle dimostrava di sapersi prendere poco sul serio e di godersi, con ironia, il ritorno sotto i riflettori. "Got My Mind Set on You" fu un successo meritato e un riconoscimento tardivo ma giusto per un artista che, per troppo tempo, era stato percepito "solo" come il Beatle silenzioso.