24 marzo 2025

Feriti, malati, ma sul palco: 4 incredibili storie di tenacia rock

Quando il rock non conosce ostacoli: quattro storie di musicisti che hanno suonato in condizioni estreme, sfidando infortuni, dolore e buon senso

Il rock è pieno di storie di musicisti che, pur di non annullare un concerto, hanno suonato in condizioni impensabili. Incidenti, malattie, ossa rotte: il palcoscenico è stato spesso teatro di atti di puro stoicismo, dove la regola del the show must go on si è trasformata in una vera e propria missione.

L’ultimo esempio di questa vocazione stoica da rocker è arrivato dagli Snow Patrol, la band irlandese celebre per successi come "Chasing Cars" e "Run", e dal loro chitarrista e tastierista Johnny McDaid, che recentemente ha dato prova di una resistenza fuori dal comune. Abbiamo selezionato quattro tra gli episodi più pittoreschi e sensazionali di questo tipo, storie di musicisti pronti davvero a tutto pur di non cancellare un concerto.

Feriti, malati, ma sul palco: 4 incredibili storie di tenacia rock
PHOTO CREDIT: Danazar/Wikimedia Commons

Guarda: suono senza mani!

In tour per promuovere il nuovo album degli Snow Patrol, THE FOREST IS THE PATH, il chitarrista e tastierista  Johnny McDaid ha subito un primo infortunio mentre la band viaggiava in treno dalla Svizzera a Francoforte: una porta si è chiusa violentemente sulla sua mano, causando danni così seri da richiedere un intervento chirurgico. Nonostante ciò, ha continuato a esibirsi sera dopo sera senza saltare un solo concerto. Ma non è finita qui. Alla vigilia della tappa di Belfast, McDaid è inciampato e cadendo si è ferito gravemente anche l’altra mano, devastandosi le nocche. Il giorno successivo, durante il soundcheck, non riusciva nemmeno a muovere le dita della mano destra. Eppure, poche ore dopo, era di nuovo sul palco come se nulla fosse. Un’impresa che lo proietta direttamente nell’élite delle rockstar più indistruttibili di sempre. 


Il trono di Dave Grohl  

Il leader dei Foo Fighters ha scritto un capitolo memorabile nella storia della resistenza rock il 12 giugno 2015, quando, durante un concerto a Göteborg, in Svezia, è caduto dal palco rompendosi una gamba. La maggior parte degli artisti avrebbe interrotto immediatamente la performance, ma non Grohl: dopo essere stato momentaneamente portato dietro le quinte per ricevere assistenza medica, ha chiesto di essere riportato sul palco e ha continuato a suonare seduto su una sedia, mentre un medico gli teneva ferma la gamba. Il concerto è proseguito fino alla fine, con Grohl che suonava in preda al dolore, ma senza perdere il suo proverbiale entusiasmo. A quel punto, la band si trovava davanti a un problema: come portare avanti il tour senza il frontman in piedi? La soluzione è arrivata direttamente da Grohl, che, pochi giorni dopo l’incidente, ha avuto un’idea brillante – o forse folle. "Ho preso un paio di oxycodone e ho disegnato un trono", ha raccontato. "Ero completamente fatto, ma ho detto: 'Non perderò questo tour per nulla al mondo. Costruitemi questo trono!'". E così è stato. Il 4 luglio 2015, alla prima data dopo l’incidente, Grohl è tornato sul palco al Robert F. Kennedy Memorial Stadium di Washington, D.C., esibendosi seduto su un enorme trono personalizzato, decorato con chitarre e amplificatori, che sarebbe diventato un'icona del tour. Quel trono non solo ha permesso ai Foo Fighters di continuare il tour, ma è diventato talmente leggendario che, anni dopo, è stato persino prestato ad Axl Rose, quando anche lui si è infortunato poco prima di una tournée con i Guns N’ Roses.


Steve Vai e il secchio per vomitare 

Quando si parla di dedizione alla musica, Steve Vai incarna alla perfezione l’idea di sacrificio per l’arte. Oggi celebrato come uno dei più grandi chitarristi di sempre, Vai ha iniziato la sua carriera ancora giovanissimo al fianco di Frank Zappa, entrando nella band a soli 20 anni. Giovane, inesperto e catapultato in un tour frenetico e massacrante, Vai si trovò rapidamente a fronteggiare una combinazione letale di stanchezza estrema, disidratazione e malattia. Il picco di questa odissea si verificò durante un concerto al Armadillo World Headquarters di Albuquerque, Nuovo Messico, un evento storico perché rappresentava l’ultima esibizione mai ospitata dal locale prima della chiusura definitiva. Le condizioni di Vai erano così gravi che dovette essere trasportato sul palco su un carrello e sistemato accanto al tastierista Tommy Mars. Durante l’intero concerto, alternò l’esecuzione di parti incredibilmente complesse alla necessità di vomitare in un secchio portato con sé, il tutto mentre lottava anche con una devastante dissenteria. Eppure, in qualche modo, riuscì a suonare tutto il set senza errori, spinto dalla concentrazione assoluta richiesta dalla musica di Zappa. A fine spettacolo, Zappa lo osservò con il suo tipico sarcasmo e commentò: 
“Hey!…sembri uno che è stato in tour per la prima volta.” Un esempio emblematico della durezza e della creatività che caratterizzavano il mondo musicale di Frank Zappa, dove la musica era sempre al primo posto, anche nelle situazioni più estreme.


Una Stratocaster infilzata nella mano

Se c’è un chitarrista noto per il suo approccio fisico e teatrale allo strumento, quello è Pete Townshend. Il leader degli Who ha sempre trattato la sua chitarra come un’arma scenica, tra mulinelli furiosi, salti acrobatici e il celebre gesto della distruzione sul palco. Ma nel 1989, durante il tour americano della band, questa attitudine gli costò un infortunio spettacolare… e piuttosto doloroso. A raccontarlo è Simon Phillips, leggendario batterista che in quell’occasione era in tour con gli Who e che ha suonato con giganti come Mick Jagger, Brian Eno, Joe Satriani e Judas Priest, ma che è ricordato soprattutto per aver sostituito Jeff Porcaro nei Toto dopo la sua scomparsa. L’incidente avvenne durante un concerto a Tacoma, nello Universal Amphitheatre, mentre la band eseguiva "Won’t Get Fooled Again". Townshend, in preda all’energia del brano, sollevò il braccio per colpire le corde con il suo classico mulinello, ma la chitarra non si alzò. Il motivo? La leva del tremolo della sua Fender Stratocaster si era conficcata direttamente nella sua mano. Phillips, che aveva una visuale perfetta dalla batteria, ricorda il momento con un misto di stupore e orrore: “Pete è proprio davanti alla mia batteria. Alza il braccio per colpire, ma non riesce a muoverlo. Si guarda la mano, poi alza lo sguardo verso di me e dice ‘Ow’, ma ovviamente non lo sento perché stiamo suonando a volumi inverecondi. Poi alza la mano… e vedo il sangue che sgorga.. Per un attimo, la band pensò che fosse la fine del tour, ma Townshend non si fermò. Nonostante la ferita e il dolore evidente, finì il concerto senza mai lasciare il palco.