John Frusciante ha trasformato il suo talento in un’arte collettiva: meno note, più groove e un suono che ha elevato i Red Hot Chili Peppers omaggiando Hendrix
Negli anni ‘90, il rock ha vissuto una rivoluzione che ha ridefinito la sua identità, e John Frusciante ne è stato uno dei testimoni più autentici. Non solo perché ha dato voce alla chitarra di una delle band più iconiche di quella scena, i Red Hot Chili Peppers, ma perché ha incarnato alla perfezione l’evoluzione musicale di quell’epoca. Da un lato, il rock tornava a essere viscerale e istintivo, recuperando le sue radici blues e psichedeliche degli anni ‘60 e ‘70. Dall’altro, si contaminava con la black music, soprattutto con il funk, dando vita a quella scena crossover che vide protagonisti, oltre ai Red Hot, band come Faith No More e Living Colour, aprendo la strada ai Rage Against The Machine.
Nato il 5 marzo 1970, John Frusciante esplode in questo contesto: inizialmente, per quanto già estremamente moderno e capace è ancora in cerca di una propria identità su MOTHER'S MILK (1989); poi trova la sua dimensione definitiva su BLOOD SUGAR SEX MAGIK (1991). Qui si appropria come pochi dello spirito di Jimi Hendrix – nel suono, nel groove, nella scelta degli accordi, nell'intenzione– trasformandolo in qualcosa di nuovo, al servizio della band. Non un guitar hero in cerca di attenzioni, ma un musicista perfetto per il suo tempo, capace di immolarsi nel ruolo perfetto di chitarrista da band rock moderno.
Curiosità inesauribile
Il tratto più saliente di John Frusciante è aver incarnato quella che potrebbe essere la formazione perfetta di un chitarrista: costruire un arsenale tecnico e teorico straordinario, assimilare una versatilità stilistica sconfinata, per poi dimenticare tutto e mettersi completamente al servizio della band. Suonare solo ciò che permette alle canzoni di brillare, fossero anche due sole note. Da giovane, Frusciante si è nutrito di musica con un’avidità e una curiosità inesauribili, esplorando tanto il virtuosismo più tecnico e concettuale – si è dichiarato più volte devoto a Frank Zappa e Steve Vai – quanto una dimensione più astratta e sonora, legata alla ricerca espressiva di chitarristi come Adrian Belew, Robert Fripp e Andy Summers dei Police. In un primo momento, queste abilità eccezionali gli servono per padroneggiare – quasi da pioniere – l’originale fusione di punk, metal, rap e funk che stava ridefinendo il rock dell’epoca. Un esercizio di versatilità stilistica senza precedenti, che farà di lui non solo un grande chitarrista, ma il perfetto catalizzatore di un suono nuovo, capace di trascendere i generi e creare qualcosa di unico.
