05 marzo 2025

Dal virtuosismo alla semplicità: la rivoluzione di John Frusciante

John Frusciante ha trasformato il suo talento in un’arte collettiva: meno note, più groove e un suono che ha elevato i Red Hot Chili Peppers omaggiando Hendrix

Negli anni ‘90, il rock ha vissuto una rivoluzione che ha ridefinito la sua identità, e John Frusciante ne è stato uno dei testimoni più autentici. Non solo perché ha dato voce alla chitarra di una delle band più iconiche di quella scena, i Red Hot Chili Peppers, ma perché ha incarnato alla perfezione l’evoluzione musicale di quell’epoca. Da un lato, il rock tornava a essere viscerale e istintivo, recuperando le sue radici blues e psichedeliche degli anni ‘60 e ‘70. Dall’altro, si contaminava con la black music, soprattutto con il funk, dando vita a quella scena crossover che vide protagonisti, oltre ai Red Hot, band come Faith No More e Living Colour, aprendo la strada ai Rage Against The Machine.

Nato il 5 marzo 1970, John Frusciante esplode in questo contesto: inizialmente, per quanto già estremamente moderno e capace è ancora in cerca di una propria identità su MOTHER'S MILK (1989); poi trova la sua dimensione definitiva su BLOOD SUGAR SEX MAGIK (1991). Qui si appropria come pochi dello spirito di Jimi Hendrix – nel suono, nel groove, nella scelta degli accordi, nell'intenzione– trasformandolo in qualcosa di nuovo, al servizio della band. Non un guitar hero in cerca di attenzioni, ma un musicista perfetto per il suo tempo, capace di immolarsi nel ruolo perfetto di chitarrista da band rock moderno.

Dal virtuosismo alla semplicità: la rivoluzione di John Frusciante

Curiosità inesauribile

Il tratto più saliente di John Frusciante è aver incarnato quella che potrebbe essere la formazione perfetta di un chitarrista: costruire un arsenale tecnico e teorico straordinario, assimilare una versatilità stilistica sconfinata, per poi dimenticare tutto e mettersi completamente al servizio della band. Suonare solo ciò che permette alle canzoni di brillare, fossero anche due sole note. Da giovane, Frusciante si è nutrito di musica con un’avidità e una curiosità inesauribili, esplorando tanto il virtuosismo più tecnico e concettuale – si è dichiarato più volte devoto a Frank Zappa e Steve Vai – quanto una dimensione più astratta e sonora, legata alla ricerca espressiva di chitarristi come Adrian Belew, Robert Fripp e Andy Summers dei Police. In un primo momento, queste abilità eccezionali gli servono per padroneggiare – quasi da pioniere – l’originale fusione di punk, metal, rap e funk che stava ridefinendo il rock dell’epoca. Un esercizio di versatilità stilistica senza precedenti, che farà di lui non solo un grande chitarrista, ma il perfetto catalizzatore di un suono nuovo, capace di trascendere i generi e creare qualcosa di unico.

 

La scintilla di Flea

In questa fase, John Frusciante è ancora legato alla mentalità del chitarrista solista. Suona per la band, ma cerca comunque di ritagliarsi spazi da protagonista, lasciandosi guidare dalla voglia di impressionare. “Cercavo di stupire gli altri, perché ero in grado di suonare cose complicate, veloci e intense…” ha raccontato in diverse interviste. Ma presto si rende conto che questa strada non lo porterà alla felicità artistica: “Ho deciso che se avessi continuato su quella strada, non sarei mai stato felice di nulla di ciò che facevo. Così ho dovuto abbandonare le mie idee su cosa fosse ‘buono’ e cercare semplicemente di essere me stesso, capendo chi ero davvero, senza cercare di essere ciò che pensavo che gli altri volessero o ciò che pensavo che i Chili Peppers dovessero essere”. La scintilla che porterà alla sua trasformazione radicale – evidente in BLOOD SUGAR SEX MAGIK – arriva proprio da Flea. Il bassista, autentico virtuoso dei Red Hot Chili Peppers, suona con naturalezza e spontaneità, senza bisogno di esercitarsi ossessivamente. Frusciante prova a fare lo stesso, ma fallisce. “Pensavo di poter essere come Flea, che all’epoca suonava il basso per mezz’ora al giorno o addirittura non suonava affatto. E ogni volta che prendeva in mano il basso, usciva qualcosa di incredibile. Così, quando sono entrato nella band, ho pensato: ‘Potrei fare lo stesso!’. Ma la verità è che io non potevo farlo: se lo facevo, non usciva nulla di originale da me, non mi sentivo soddisfatto di ciò che facevo, non mi divertivo sul palco, non riuscivo a scrivere canzoni né a stare al passo con la sua creatività.

 

Al servizio della band

Questa consapevolezza spinge Frusciante a cambiare radicalmente approccio, abbandonando l’idea di dover emergere come virtuoso e mettendosi al servizio del suono della band. Forte di questa consapevolezza, per Frusciante arriva la svolta definitiva. Capisce che il suo ruolo non è più quello di stupire o imporsi, ma di costruire uno spazio sonoro in cui la band possa esprimersi al massimo. Inizia così a semplificare il suo approccio, lasciando che l’istinto prenda il posto della tecnica e scoprendo che meno note possono significare più musica. “Quando ho smesso di pensare come un adolescente e ho iniziato a semplificare il mio modo di suonare, concentrandomi più sul cuore che sulla tecnica, Flea ha iniziato a suonare molto meglio”, ha raccontato. Si rende conto che, invece di riempire ogni spazio con assoli o fraseggi, basta un singolo accordo lasciato risuonare, un feedback controllato o una nota tenuta a lungo per far emergere al meglio il groove e la personalità della band. “Faceva suonare meglio tutti, perché offrivo loro una tela su cui dipingere, invece di cercare di mettermi in primo piano per farlo io stesso”. Questa nuova attitudine cambia radicalmente la chimica del gruppo e porta Frusciante a definire il proprio stile in maniera definitiva: non più un chitarrista che cerca di dominare il suono, ma un musicista capace di costruire il contesto perfetto affinché la band possa brillare.

 

In armonia coi propri eroi

Con il tempo, Frusciante si è trovato in perfetta armonia con se stesso, comprendendo che non stava tradendo le sue aspirazioni giovanili di grande chitarrista. Al contrario, stava realizzando appieno il suo ideale musicale. Ha maturato la consapevolezza che i suoi stessi eroi della chitarra – da Eddie Van Halen a Johnny Thunders, da Bernard Sumner a Syd Barrett – avevano trovato la loro grandezza non nell’abilità solistica fine a sé stessa, ma nell’essere musicisti da band. “Troppo spesso si pensa che un chitarrista sia bravo solo se riesce ad attirare l’attenzione su di sé. E sì, ci sono molti grandi chitarristi che lo fanno benissimo. Ma per me, ciò che accomuna chitarristi molto diversi tra loro è il fatto che sapevano essere parte di una band e valorizzare il suono degli altri”, ha spiegato Frusciante. Eddie Van Halen, nonostante il suo stile virtuosistico, era un chitarrista ritmico straordinario, capace di far suonare meglio tutto ciò che lo circondava. Frusciante ha capito che il vero talento di un chitarrista sta proprio in questo: nel costruire un suono collettivo, non nel mettersi sopra gli altri. Perché una rock band non è un insieme di singoli, ma un’entità unica che prende vita quando ogni strumento dialoga con l’altro.

Un viaggio musicale a parte

E se con i Red Hot Chili Peppers John Frusciante ha scolpito il suono della chitarra nel rock dagli anni '90, la sua sconfinata produzione solista è un universo a sé. Album come SHADOWS COLLIDE WITH PEOPLE (2004) e THE EMPYREAN (2009) testimoniano una creatività senza confini, tra sperimentazione, melodia e ricerca sonora. Un viaggio musicale a parte, che conferma ancora una volta il suo eclettismo e il suo status di uno dei più grandi non solo chitarristi ma artisti rock contemporanei