Brian Jones, l’uomo che creò gli Stones: da genio a mito maledetto
Senza Brian Jones, gli Stones non sarebbero mai esistiti. Eppure, oggi è ricordato più per la sua scomparsa che per la sua genialità. Un'ingiustizia del rock
Se oggi la grandezza dei Rolling Stones è tale da trascenderne il ruolo di band fino a farli diventare un pilastro fondante del rock, stride il fatto che si ricordi sempre meno Brian Jones l’uomo che li ha fondati e ne ha gestito le fasi iniziali decisive.
Brian Jones, nato il 28 febbraio 1942, è una delle figure più rilevanti del rock non solo perché ha dato vita alla band che ne è diventata un'istituzione, ma perché incarna tutti gli elementi chiave dell’evoluzione culturale degli anni ’60: la celebrazione del blues come punto di partenza per un sound più moderno e aggressivo, l’apertura alla ricerca di nuove sonorità ed elementi esotici, influenzata dall’allora dilagante fascinazione per la cultura indiana, e un’attitudine anticonformista, ribelle, persino trasgressiva, che attraversava musica, moda e stile di vita.

Blues e modernità
Jones era uno studioso e un appassionato di blues e R&B (I dischi di Muddy Waters, Elmore James e Howlin' Wolf erano la sua fonte di ispirazione) ma non semplicemente un interprete; era un musicista che si immedesimava profondamente nei valori e nelle suggestioni di questa musica, vedendola come la voce degli emarginati e degli esclusi. Per lui il blues non era solo un genere musicale, ma una forma di espressione identitaria, capace di canalizzare dolore, desiderio e ribellione. Questo approccio lo avvicina, in modo sorprendente, a Janis Joplin: entrambi vissero in maniera totalizzante il blues come un grido dell’anima attraverso cui non solo esprimersi ma anche esorcizzare i propri demoni, lasciandosi travolgere da questa forma di preghiera che trascendeva tempo e origini. Jones però, partendo dal blues si apriva al rock con una brillante versatilità: era un polistrumentista straordinario, capace di suonare il flauto in "Ruby Tuesday" (BETWEEN THE BUTTONS, 1967), la marimba in "Under My Thumb"(AFTERMATH, 1966), il mellotron in "2000 Light Years from Home" (THEIR SATANIC MAJESTIES REQUEST, 1967) e di introdurre strumenti inusuali come il sitar in "Paint It Black"(AFTERMATH, 1966) , ispirato dal suo interesse per la musica orientale. È grazie a lui se nei Rolling Stones nasce quella vocazione alla sperimentazione e alla ricerca di un suono nuovo, destinata a diventare la scintilla che li renderà una delle band più influenti della storia. L’impronta di Jones si avverte con forza nei primi album come THE ROLLING STONES (1964) e OUT OF OUR HEADS (1965), dove il gruppo inizia da subito a cercare orizzonti sonori personali e diversi.
Il vero leader della band
Tutto questo talento e questa curiosità artistica erano il riflesso di uno spirito ribelle, perfettamente allineato con la rivoluzione culturale degli anni ’60. Ma la stessa attitudine lo portò a una vita intensa e spesso eccessiva, facendone un’icona della sua epoca, ma senza dargli il tempo di vederne la fine. E il suo ruolo nei Rolling Stones non si limitava all'aspetto musicale: Jones, nelle prime fasi della carriera, era il vero leader del gruppo. Sul palco, il suo carisma e la sua energia spesso oscuravano persino Mick Jagger; fuori dal palco, era lui a gestire la promozione della band, gli ingaggi e la costruzione della loro popolarità. Eppure, nonostante questo ruolo centrale, Brian Jones fu presto messo in ombra da Mick Jagger e Keith Richards, soprattutto da Jagger, che ne assunse gradualmente il ruolo di frontman e punto di riferimento della band. Un’umiliazione pesante per una personalità fragile, segnata da un’adolescenza difficile e priva di un vero sostegno familiare. A soli 17 anni, suo padre lo cacciò di casa, incapace di accettare il suo stile di vita ribelle e il sogno di fare musica. I suoi genitori non lo videro mai suonare dal vivo, un’assenza che pesò enormemente su Brian, alimentando insicurezze e problemi di autostima.
Vortice autodistruttivo
Lontano ormai dal centro della scena, vittima dell’ingratitudine dei suoi compagni di band e, forse, semplicemente dell’ineffabile legge del rock – che spesso sposta i riflettori sul cantante, lasciando nell’ombra persino i suoi fondatori – Brian iniziò a perdersi. Sempre più escluso dalle dinamiche creative del gruppo, trovò rifugio in un vortice autodistruttivo fatto di droga e alcol, dipendenze che lo resero inaffidabile sia in studio che in tour. Nonostante il suo contributo innovativo, il suo ruolo nella band si fece sempre più marginale, fino a diventare insostenibile. Nel giugno 1969, fu lo stesso Jones ad annunciare ufficialmente la sua uscita dai Rolling Stones. La decisione fu presentata come consensuale, ma era chiaro che le tensioni interne e i suoi problemi personali avevano reso impossibile la convivenza con la band. Il suo posto fu preso da Mick Taylor, segnando la fine dell’era Brian Jones nei Rolling Stones. Pochi mesi dopo, il 3 luglio 1969, Brian fu trovato morto nella piscina della sua casa di Cotchford Farm. La versione ufficiale parlò di "annegamento accidentale", ma le circostanze della sua morte sollevarono dubbi e speculazioni per decenni.
Il Club dei 27
Brian Jones, l’uomo che accese la scintilla dei Rolling Stones, lasciò il mondo del rock senza mai ricevere il riconoscimento che meritava. Oggi, più che per la sua genialità artistica, il suo nome riecheggia come il primo membro del tristemente noto "Club dei 27", l'insieme di musicisti leggendari – da Jimi Hendrix a Kurt Cobain, fino ad Amy Winehouse – morti prematuramente a 27 anni. Un’ingiustizia per un artista che fu molto più di un destino maledetto: fu un visionario, un innovatore, un pioniere, la cui eredità musicale meriterebbe di essere ricordata ben oltre il mito della sua scomparsa.