All That You Can't Leave Behind, il ritorno alle origini degli U2

Dopo la deriva sperimentale degli anni '90, il nuovo millennio venne inaugurato dagli U2 con il classico All That You Can't Leave Behind

Il 30 ottobre del 2000 gli U2 sono entrati nel nuovo millennio con il decimo album in studio intitolato "All That You Can't Leave Behind".

Forse il disco più importante per i 'nuovi' U2, "All That You Can't Leave Behind" segna un ritorno alle origini per la band irlandese che, reduce dalle sperimentazioni del precedente "Pop", decide guardarsi nuovamente alle spalle.

Quello raggiunto dagli U2 con questo album è uno punto abbastanza comune a molti artisti che, dopo essersi guadagnati a colpi di successo il ruolo di poter fare qualcosa che rischi di far storcere il naso ai fan, fanno una nuova inversione e abbracciano le caratteristiche che ne hanno contraddistinto il sound.

Il disco della maturità potrebbe dire qualcuno o, almeno, il disco della serenità, di quando non hai più la voglia né la necessità di provare cose nuove e decidi di trascorrere le tue serate divano e copertina.

Ma quando si ha a che fare con maestri del songwriting come Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen, è possibile che il non rischiare non si traduca necessariamente in qualcosa di male.

Il ritorno alle origini dei nuovi U2

La reazione naturale fu prendere una direzione che fosse diametralmente opposta a quella in cui gli U2 si avventurarono con Pop e tornare alle origini, alla scrittura voce e chitarra più semplice possibile, quella in grado di aggiungere classici ad un catalogo già impressionante.

Dopo esperimenti sonori più elettronici e audaci con gli album “Achtung Baby” e “Pop,” Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. scelgono di riscoprire il rock più classico e melodico, dimostrando ancora una volta la loro abilità di reinventarsi senza perdere l’autenticità.

Messe da parte le stage personality di The Fly e McPhisto che negli anni'90 trasformarono Bono in qualcosa di più di un semplice cantautore, gli U2 tornarono ad essere solo quei quattro ragazzi di Dublino - ora uomini - in grado di scrivere classici immediati e senza tempo.

Importante in questo senso fu anche il cambio di produzione che, al posto di nomi come Flood e Howie B, vide ritornare in cabina di regia il duo composto da Briano Eno e Daniel Lanois, già fautori di opere come "The Joshua Tree" e "Achtung Baby".

L'approccio stesso alla realizzazione del disco fu quello di un tempo, quello di un gruppo di amici chiusi in sala prove per suonare insieme ma, inevitabilmente, lo status degli U2 si mise in mezzo.

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